BuonGiorno Lettori,
Oggi vi parlo di un libro piccino piccino ma dal grande impatto emotivo: scoperto quasi per caso, in un momento in cui la lista dei libri da leggere era quasi interminabile, ho comunque deciso di mettere in pausa tutte le letture in corso... Ne è valsa la pena.
Quando il respiro si fa aria
Paul Kalanithi
Pubblicato da Mondadori, 2016.
A 36 anni, appena conclusa la scuola di specializzazione in neurochirurgia e con una brillante carriera davanti a sé, Paul Kalanithi scopre di avere un cancro ai polmoni in stato avanzato. Improvvisamente, da medico che si prende cura degli altri, Paul si ritrova, in una posizione diametralmente opposta, a lottare per la propria vita. Il futuro che lui e sua moglie avevano immaginato insieme evapora in un istante. Questo struggente memoir è la cronaca della trasformazione di Kalanithi da giovane studente di medicina, alla continua ricerca di cosa renda una vita piena di significato, a neurochirurgo di Stanford che si occupa di cervello, a paziente che deve affrontare una malattia mortale. Cosa rende la vita degna di essere vissuta quando ci si confronta con la morte? Cosa fare quando il futuro davanti a noi si appiattisce in un eterno presente? Sono solo alcune delle domande che Kalanithi si pone in questo memoir intenso e di grande scrittura.
Ho scoperto questo libro, leggendo l’intervista di un attore su una rivista online: l’ultima cosa che mi aspettavo era un interessante consiglio di lettura. Non mi era mai capitato, ma come si suol dire, c’è sempre una prima volta!
Dando un rapido sguardo alla trama, pensavo di piangere tutte le mie lacrime! Non è stato completamente così: solo la prefazione e l’epilogo mi hanno commosso. Le uniche due parti non scritte da Paul Kalanithi. Passato lo stupore iniziale, ero contenta. Perché se ho “imparato a conoscere” un pochino lo scrittore, il suo intento non è muovere a compassione schiere di lettori, facendo leva su facili sentimentalismi così comuni, quasi obbligatori oggi. Kalanithi vuole spronare il suo lettore, svegliarlo, renderlo forse un pochino più consapevole della cosa più preziosa che ha. Il Tempo.
Nella prima parte del romanzo, Paul racconta le gioie e soprattutto le fatiche che costellano la vita di uno studente di medicina prima, di uno specializzando poi. Rende partecipi i lettori del senso di onnipotenza che un uomo, poco più che adolescente, sente impugnando un bisturi affilatissimo, contrapposto al senso di spaesamento totale, punteggiando da un vago senso di colpevolezza, di fronte alla morte di un paziente. Le ore interminabili passate in piedi, i pranzi velocissimi e poco salutari con gli amici-colleghi e l’adrenalina delle urgenze si contrappongono alla noia dell scartoffie burocratiche, alla stanchezza, ai timori di non farcela e di non essere all’altezza.
Nella seconda parte, nonostante tutto, ritroviamo il Paul che abbiamo conosciuto: la malattia non l’ha cambiato. È il guerriero di sempre: incassa il colpo della diagnosi e reagisce. Perché nonostante conosca perfettamente la malattia e come agisca, non sa quanto tempo impiegherà effettivamente a fare il suo corso. Mesi, un anno, forse anche dieci anni. Tempo che non può e non deve essere sprecato: trova la forza di andare avanti grazie alla moglie Lucy, alla famiglia, ai colleghi che lo hanno in cura, nonostante debba guardare il mondo con occhi nuovi. Gli occhi del paziente.
I ruoli si sono invertiti.
Scrivere questa recensione non è stato facile: solitamente scrivo i commenti poco dopo aver terminato la lettura. Questa volta ho preferito concedermi un po' più di tempo, perché scrivere di getto su tematiche simili, sarebbe avventato per chi come me, non è un esperto. È stato un piacere conoscere questo dottore, un uomo che ha saputo lasciare il segno nonostante il breve tempo a disposizione. Un esempio da seguire.
Avete letto questo? Vi piace leggere questo genere di libri?
Fatemi sapere!
Dando un rapido sguardo alla trama, pensavo di piangere tutte le mie lacrime! Non è stato completamente così: solo la prefazione e l’epilogo mi hanno commosso. Le uniche due parti non scritte da Paul Kalanithi. Passato lo stupore iniziale, ero contenta. Perché se ho “imparato a conoscere” un pochino lo scrittore, il suo intento non è muovere a compassione schiere di lettori, facendo leva su facili sentimentalismi così comuni, quasi obbligatori oggi. Kalanithi vuole spronare il suo lettore, svegliarlo, renderlo forse un pochino più consapevole della cosa più preziosa che ha. Il Tempo.
Il tempo, per me, è un'arma a doppio taglio: ogni giorno mi allontana dal baratro dell'ultima recidiva ma mi avvicina alla prossima ricaduta, e infine alla morte. Forse più tardi di quanto pensi, ma sicuramente prima di quanto vorrei.Kalanithi è schietto: racconta la sua esperienza in modo asciutto e puntuale, senza però diventare freddo o distante. Questo suo modo di scrivere ci fa capire che in Paul convivono due anime: una pratica da uomo di scienza, l’altra sognatrice da amante della letteratura. Non è un caso: Paul non è il classico bambino che cresce con l’idea di diventare dottore, nonostante diversi componenti della famiglia esercitano questa professione. Ama la poesia, la filosofia, la psicologia, ma scopre “la passione per i cervelli” quasi per caso, mentre studia letteratura inglese e biologia a Stanford. Capisce che neurochirurgia è la facoltà chiave per conoscere “l’intreccio di cervello e coscienza”. Dopo un anno propedeutico, fatto di lezioni, tirocini ed esami, Paul inizia la sua carriera a Yale.
Nella prima parte del romanzo, Paul racconta le gioie e soprattutto le fatiche che costellano la vita di uno studente di medicina prima, di uno specializzando poi. Rende partecipi i lettori del senso di onnipotenza che un uomo, poco più che adolescente, sente impugnando un bisturi affilatissimo, contrapposto al senso di spaesamento totale, punteggiando da un vago senso di colpevolezza, di fronte alla morte di un paziente. Le ore interminabili passate in piedi, i pranzi velocissimi e poco salutari con gli amici-colleghi e l’adrenalina delle urgenze si contrappongono alla noia dell scartoffie burocratiche, alla stanchezza, ai timori di non farcela e di non essere all’altezza.
Mi ero reso conto che prima di operare il cervello di un paziente avrei dovuto capirne la mente: la sua identità, i suoi valori, cosa rendeva la sua vita degna di essere vissuta, e quale devastazione avrebbe reso ragionevole l’accettazione della morte. Il costo di questa mia dedizione era alto, e gli inevitabili fallimenti scatenavano in me un rimorso quasi insostenibile. Sono questi fardelli a rendere la medicina sacra e del tutto impossibile: quando prendi sulle spalle la croce di un altro, a volte devi lasciarti schiacciare dal peso.È una parte molto dinamica e frenetica, ma lascia l’amaro in bocca: si è consapevoli del destino beffardo che attende Paul e non si può non pensarci. Non si vuole credere che a un ragazzo così brillante e pieno di vita venga fermato dalla malattia.
Nella seconda parte, nonostante tutto, ritroviamo il Paul che abbiamo conosciuto: la malattia non l’ha cambiato. È il guerriero di sempre: incassa il colpo della diagnosi e reagisce. Perché nonostante conosca perfettamente la malattia e come agisca, non sa quanto tempo impiegherà effettivamente a fare il suo corso. Mesi, un anno, forse anche dieci anni. Tempo che non può e non deve essere sprecato: trova la forza di andare avanti grazie alla moglie Lucy, alla famiglia, ai colleghi che lo hanno in cura, nonostante debba guardare il mondo con occhi nuovi. Gli occhi del paziente.
I ruoli si sono invertiti.
Anche la coniugazione dei verbi si è fatta confusa. Qual è la forma corretta tra: «Sono un neurochirurgo», «Ero un neurochirurgo», «Sono stato un neurochirurgo in passato e lo sarò di nuovo»?È la malattia che dà il ritmo a questa seconda ed ultima parte e le scelte, azioni e convinzioni di Paul mostrano un modo di affrontare le difficoltà con “grazia e autenticità”, per dirla con le parole di Lucy. Non c’è spazio per l’autocommiserazione, ma solo tanta voglia di organizzare un futuro incerto, un estremo tentativo di aggrapparsi con tutto se stesso alla vita.
Scrivere questa recensione non è stato facile: solitamente scrivo i commenti poco dopo aver terminato la lettura. Questa volta ho preferito concedermi un po' più di tempo, perché scrivere di getto su tematiche simili, sarebbe avventato per chi come me, non è un esperto. È stato un piacere conoscere questo dottore, un uomo che ha saputo lasciare il segno nonostante il breve tempo a disposizione. Un esempio da seguire.
Avete letto questo? Vi piace leggere questo genere di libri?
Fatemi sapere!
Vi saluto con
il sorriso contagioso
di Paul e Lucy
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